"Ditta mia" di Grazia Previato

Anni '80, nel cuore del Polesine, in una via chiamata in tanta malóra, lontana diversi chilometri dal centro abitato. Là, ci vivono otto famiglie: una di queste, soprannominata Beléssa, è composta da marito, moglie e otto figli. La madre dei ragazzi, Giuditta detta Ditta, ha modi spicci e parla un italiano colorito dal dialetto locale. In cuor suo soffre per non aver conseguito la licenza media e per non avere ben chiaro cosa vuole fare da grande. Alla ricerca del suo posto nel mondo, Giuditta si "consola" recitando i versi di poesie famose. Inoltre, prendendo spunto dall'intento di Marietta, la sua vicina, Ditta si prodiga per convincere gli abitanti della via a realizzare il desiderio dell'amica: costruire un piccolo capitello lungo il sentiero di casa. L'idea incontra subito degli ostacoli, in apparenza insormontabili. A spingere Ditta a darsi da fare sono due momenti ben precisi, attraverso i quali inizia a capire, a osare e a reagire, fino ad arrivare alla concretizzazione del suo sogno. Il romanzo, attraverso le consuetudini proprie della civiltà contadina, ne mette in risalto i valori intrinsechi e i punti cardine, frutto della saggezza popolare e del forte attaccamento alla terra e alla natura umana. 

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